Vivendi, Mediaset e la nuova stagione della televisione

13 Aprile 2016 Smart Building Italia


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televisionePiù o meno fino a quattro anni fa gli OTT, ovvero gli editori televisivi che veicolano contenuti via internet, erano percepiti dall’opinione pubblica come degli UFO, oggetti non identificati. Oggi il re degli OTT, cioè Netflix, conta 75 milioni di abbonati nel mondo e dispone di 6 miliardi di dollari per produrre contenuti originali. La gloriosa serie House of Cards è la prova più lampante di questa capacità di fuoco.

In un amen gli OTT hanno messo in forte discussione il granitico modello televisivo che ruota attorno al formato generalista con il corollario di gamma alta della pay TV, sia essa via satellite o terrestre. La maggioranza dei commentatori ha giudicato il recente accordo tra Vivendi e Mediaset come una contromisura per contrastare l’avanzata imperiosa degli OTT (e non c’è solo Netflix, visto che in Italia, sommando anche Sky Online, Tim Vision e Infinity, gli abbonati ai servizi streaming on demand sono 1,25 milioni). Forse è così, il fenomeno preoccupa gli editori classici che vedono erodere quote di audience. Ma certamente la televisione in Italia sta affrontando un passaggio epocale.

«L’obiettivo dei francesi di Vivendi è chiaro – ha scritto Key4biz – lanciare una pay tv di dimensioni europee, assicurarsi i diritti per contenuti di pregio, specie relativi al calcio, investire nella produzione di opere originali, rafforzarsi nei servizi streaming con il lancio di una piattaforma OTT comune». Cosa di cui il fondatore di Netflix, Reed Hastings, non è preoccupato «per nulla al mondo. Oggi scegliamo di vedere lo spettacolo che ci piace su qualsiasi schermo possibile e ormai con gli smartphone o i tablet è possibile farlo dappertutto. L’internet TV è una televisione che funziona molto meglio».

Il quotidiano La Repubblica completa l’ipotesi di sviluppo tra Vivendi e Mediaset scrivendo: «Un’analisi allo stato attuale delle conoscenze sembrerebbe lasciare soprattutto una leva: il passaggio della pay dalle frequenze terresti al satellite. L’opzione, sulla carta, avrebbe molti vantaggi. Un canale satellitare costa circa un quinto di uno terrestre. Dà possibilità di ampliare l’offerta con nuovi canali e soprattutto tanta alta definizione».

Un eventuale passaggio al satellite della nuova creatura Mediaset-Vivendi (probabile unione tra Canal+ e Mediaset Premium) comporterebbe di fatto l’apparizione di un nuovo decoder da installare in casa. L’ennesimo. Un decoder «di nuova generazione, come il Q di Sky, un vero e proprio home entertainment system, lanciato in Inghilterra e che arriverà in Italia il prossimo anno», spiega La Repubblica. Se così fosse, i costi per le TV ed anche per i consumatori aumenterebbero.

A proposito di nuovi decoder, c’è un altro fattore che pesa sul momento di transizione della televisione italiana: il DVB-T2, il nuovo standard per la trasmissione televisiva digitale terrestre. Gli italiani dovranno cambiare nuovamente decoder o televisore dopo il traumatico switch off del 2011/12 con il passaggio dall’analogico al digitale? In effetti, nelle scorse settimane sono circolate voci incontrollate e titoloni sui giornali nazionali che hanno messo in allarme i cittadini. Un lungo e dettagliato articolo di DDay.it a firma del direttore Gianfranco Giardina fa chiarezza sulla questione.

«È partita la “leggenda metropolitana” che l’Europa ci stia chiedendo (anzi imponendo) di rottamare tutti i vecchi TV e passare al DVB-T2. – scrive Giardina – Non è vero, l’Europa vuole solo che una parte di spettro TV venga assegnato alle telecomunicazioni (la banda 700 sarà ceduta alle tlc mobili 4G e 5G). La scelta di passare contestualmente al DVB-T2 è tutta italiana e serve per evitare che qualche emittente perda le proprie frequenze. Ma a pagare sarebbero in larga parte i consumatori». Vi consigliamo la lettura.