Fabbrica Fendi: anche i tritoni sono Smart

25 Agosto 2023 Smart Building Italia


Nei pressi di Firenze la casa di moda affida al paesaggista Perazzi e allo studio Piuarch la rinascita di un’ex fornace

Uno stabilimento da 700 posti di lavoro al centro di un ecosistema di parchi e giardini finalizzato alla sostenibilità energetica e alla valorizzazione della Natura autoctona

Occhio ai tritoni “smart”, in questa storia.
Che cosa, infatti, comporta avere cura di loro, mettendoli al centro di un progetto di autentica rinascita, più che di semplice riqualificazione, di un territorio?
Significa capire che il fattore umano ricopre un ruolo determinante all’interno della Natura intesa come ecosistema.

È quanto scaturisce conversando con Antonio Perazzi, e si profila quando il cinquantaquattrenne botanico e paesaggista, “iniziato” alla propria arte dalla bellezza delle natie colline del Chianti, spiega cosa lo ha mosso a dare vita, in sinergia con lo studio milanese di architettura Piuarch, alla nuova, “verdissima” e ammaliante Fabbrica Fendi realizzata appena fuori Firenze, a Bagni a Ripoli, nel sito di 13mila metri quadrati un tempo occupato dalla fornace Brunelleschi. Che significa non solo alta moda al posto di piastrelle in cotto, ma anche lusso ispirato a principi di sostenibilità, e non più a un’ottica di forte impatto sull’habitat naturale. Qualcosa di già annunciato nel gesto compiuto due anni fa dal presidente di Fendi, Serge Brunschwig, che piantava personalmente al centro del cantiere un cerro, albero la cui simbologia evoca coraggio e spirito etico.

I numeri e la bellezza

Ecco dunque la trama in cui fa la sua comparsa il piccolo tritone, anfibio dalle mitologiche ascendenze, figlio del dio Nettuno tirato in ballo da Antonio Perazzi, autore di venerate rubriche su Gardenia, piuttosto che su Il Sole 24 Ore.

Avessimo applicato una tradizionale idea di ristabilimento dell’ecosistema originario, quello scomparso a causa dell’azione esercitata per così lungo tempo dalla fornace – spiega Perazzi con la sua morbida gentilezza – avremmo impiegato trent’anni per conseguire un risultato, ammesso e non concesso di raggiungerlo a fronte dei mutamenti climatici in corso. C’era invece un’altra possibilità, che consisteva nell’interagire con la terra sbancata dalla cava, e con le specie vegetali e animali insediatesi durante questo lungo processo di sfruttamento intensivo, fra cui spiccavano popolose colonie di tritoni

Il succitato fattore umano si manifesta così nell’intreccio virtuoso fra l’approccio adottato dal paesaggista e le necessità del committente, mirate alla creazione di un diverso ecosistema, alimentato dalle risorse del territorio, ma anche dalla sostenibilità di un nuovo manufatto. Che il committente non sia “qualsiasi” è il dato di fatto a cui rimandano i numeri della Fendi Factory creata in località Capannuccia: non solo 30mila metri quadrati di area complessiva, di cui 13mila destinati a fabbrica per 700 dipendenti, sviluppata su un solo piano con copertura “verde” comprensiva di giardino pensile, ma anche 3mila500 metri quadrati occupati da pannelli solari e 700 piante di un uliveto in grado di produrre 900 litri annui di olio, oltre a 9 cortili vetrati interni, concepiti come una riserva dedicata alle specie arboree della macchia mediterranea.

Lusso ed efficienza

Siamo al cospetto di un’imponenza tale, di concept e di manufatto, con relativo budget di 50 milioni di euro, da intuire che il brand Fendi, da solo, fatichi a giustificarla, pur con tutto l’ossequio dovuto a un marchio così iconico nella grande famiglia del Made in Italy. Bisogna infatti inquadrarlo nella casa madre di cui fa parte, la multinazionale francese LVMH fondata dal magnate Bernard Arnault, classificato da Forbes come l’uomo più ricco del mondo, con buona pace di “mister Tesla” Elon Musk. È palese che un gruppo del genere, in grado di controllare i due terzi del “luxury” globale, espone una sua ammiraglia quale è Fendi, solo a patto di puntare ai massimi livelli di certificazione previsti, ovvero i 110 punti di “Leed Platinum”, assegnati a progetti esemplari secondo otto parametri: ubicazione, sostenibilità, efficienza idrica, efficienza energetica, materiali impiegati, qualità degli ambienti interni, innovazione, ottimizzazione di uno specifico territorio.

Bellezza e Virtuosità energetica

Così si comprende come lo “Smart” rifulga ovunque si giri l’occhio all’interno di un’area dove la fabbrica concorre al benessere dell’ecosistema esattamente come l’argilla residuale.

La chiave fondamentale è rappresentata dall’acqua – chiarisce Antonio Perazzi. – A differenza di una volta, quando esistevano stagioni delle piogge, oggi, in presenza di una siccità sempre più dominante, gran parte delle precipitazioni piovane di un anno possono cadere nell’arco di pochissimi giorni. Da qui la doppia funzione del tetto-giardino – continua il paesaggista, nipote della celebre giornalista Oriana Fallaciprogettato per emanare un’idea di bellezza intrecciata a un obiettivo di virtuosità energetica, conseguito facendo del giardino stesso un collettore in grado di redistribuire nell’habitat circostante ogni singola goccia di acqua piovana

Di fronte ai frutti di questa rinascita che non lascia fuori nulla del territorio preso in cura, compreso il corso del fiume Ema, tornato dopo decenni in relazione con l’ambiente della fabbrica tramite il parco circostante, la chiave interpretativa è quella di un “realismo immaginifico” ispirato dai dati di fatto per prendere il volo nel modo più concreto possibile. Da qui discende anche la scelta del giardino arido, posto nel cuore della struttura pensile. “E’ la soluzione migliore per dare asilo a quella flora pioniera spontanea che meglio si adatta a una situazione climatica caratterizzata da non calcolabili periodi di secco” commenta Perazzi. E’ la stessa filosofia con cui i nove patii interni sono stati realizzati lavorando sul paesaggio tipico di terreni argillosi, con la loro flora specifica costituita da salici, canne, giunchi, ninfee, menta, e perfino muschi.

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In sintonia con il paesaggista, lo studio milanese Piuarch ha collaborato con la Maison Fendi ideando un’architettura in dialogo aperto con la natura circostante. La funzionalità degli spazi realizzati da Piuarch diventa quindi il principio compositivo della pianta che combina diverse funzioni, fondendole in percorsi fluidi che lo attraversano orizzontalmente. Una “spina dorsale” di collegamento fra gli spazi, dalle pareti trasparenti, mette visivamente in connessione le diverse funzioni e promuove la circolazione e la socializzazione delle persone.

L’idea è stata quella di ricostruire un paesaggio naturale attraverso un’architettura che scompare all’interno del paesaggio stesso. Quando un progetto di architettura è anche un progetto di paesaggio, la simbiosi con l’ambiente si sviluppa in modo naturale –  afferma Gino Garbellini, socio dello studio Piuarch.

Su tutto ciò vegliano i tritoni, dotati nelle raffigurazioni classiche di un corno di conchiglia, il cui suono risulta di aiuto all’uomo, placando le tempeste e le comuni difficoltà a cui si espone la sua vita.