Problema o opportunità?
C’è una slide, tra quelle presentate da The European House Ambrosetti il 3 aprile a Milano che, più di altre, dovrebbe far riflettere, ed è quella che traccia l’andamento del processo di decarbonizzazione del nostro Paese, confrontando la curva che ci porterebbe a cogliere il risultato posto dal piano europeo “Fit for 55” con quella dell’attuale trend inerziale, basato sui dati del decennio 2009-2019: ebbene, non ci siamo!
Proprio non ci siamo. Se non diamo un’accelerata significativa non è nemmeno ipotizzabile non cogliere, ma nemmeno avvicinare i risultati stimati dalla Comunità Europea e da noi ratificati.
Questo per dire che l’oggetto dello studio presentato dalla “Community Smart Building” del prestigioso Studio milanese è di straordinaria attualità, accompagnandosi per giunta al dibattito in atto sulla nuova EPBD (Energy Performance of Buildings Directive) approvata poche settimane fa dal Parlamento europeo.
Agire sull’impronta energetica ed emissiva del patrimonio edilizio costituisce, infatti, una delle chiavi di volta per spingere quella curva in basso e tentare almeno di avvicinare i risultati auspicati in termini di decarbonizzazione dell’Italia al 2050.
Se rimaniamo al voto contrario alla direttiva da parte dei rappresentanti in Europa del nostro Governo e al dibattito catastrofista che ne è seguito, potremmo solo dire che quanto disegnato dalla nuova EPBD è soltanto un gigantesco problema, un bel trappolone per il nostro Paese e per noi tutti, in buona parte irrisolvibile, dal momento che si tratterebbe di mettere mano nel giro di 25 anni a qualche cosa come 12 milioni di edifici obsoleti ed energivori.
Il report dello Studio Ambrosetti, tuttavia, ci presenta una realtà ben diversa, quasi antinomica rispetto a questo comune (?) sentire. Secondo le loro stime, infatti la riqualificazione in chiave smart del patrimonio immobiliare italiano abiliterebbe investimenti per oltre 330 miliardi di Euro e genererebbe benefici economici netti positivi tra i 17 e i 19 miliardi di Euro all’anno per i cittadini, equivalenti a una riduzione del 15-19% delle spese per consumi energetici. Non solo, ma la riqualificazione del patrimonio immobiliare in chiave smart potrebbe favorire la creazione di ben 200 mila nuovi posti di lavoro con profili qualificati e specializzati. Prova ne sia che nel 2023 il focus dei nuovi occupati è stato chiaramente indirizzato verso le competenze smart e green, relative quindi agli interventi di efficientamento energetico e alla sostenibilità ambientale.
Problema o opportunità, quindi?
Dipende da come si deciderà di operare nei prossimi mesi, dal momento che la direttiva europea sulle case green non lascia molto tempo per decidere e la cancellazione del famigerato (?) Superbonus ha lasciato un vuoto che va rapidamente colmato con provvedimenti meno draconiani, ma più longevi e costanti nel tempo.
Il tema dei temi, infatti, è quali incentivi proporre agli italiani per produrre quella spinta all’innovazione delle proprie abitazioni che è obiettivo irrinunciabile dei prossimi due decenni.
Qualunque ingegnere posto di fronte ad un problema di raggiungimento di un obiettivo dato, sarebbe in grado di dare un consiglio semplice, persino ovvio: analizziamo e misuriamo il punto di partenza; poi decidiamo qual è il modo più semplice e meno oneroso per raggiungere quel risultato; infine misuriamo se l’abbiamo raggiunto. Tutto persino troppo ovvio.
Alla politica spetta quindi di identificare gli obiettivi e di incentivare il loro raggiungimento (sali di una classe energetica, ti premio; sali di due, ti premio di più), non di entrare nel merito di come raggiungerli, perché la casistica che si trovano ad affrontare i tecnici è praticamente infinita e l’edilizia, per definizione, non è standardizzabile (almeno per ora). In termini tecnici si chiama “neutralità tecnologica”: non mi interessa come raggiungi il risultato, basta che tu lo raggiunga (ma, aggiungo, su basi certe, non su stime).
Per questo iniziare dal dotare ogni edificio di una infrastruttura digitale in grado di monitorare oggettivamente i consumi (e non solo) è fondamentale, poco costoso e probabilmente dovrebbe essere il primo intervento da finanziare.
Sul fronte dell’occupazione, per concludere, vero, come rileva lo Studio Ambrosetti, che lo spazio per nuovi occupati in questo settore è enorme, ma di strada da fare per convincere le nuove generazioni a dedicarsi nuovamente alle professioni tecniche, ce n’è davvero molta; dal momento che abbiamo alle spalle decenni di narrazione sbagliata e penalizzante e che per invertire la tendenza ci sarà bisogno di una coalizione il più ampia possibile (in grado di mettere assieme pubblico e privato) per far arrivare ai giovani altri messaggi, più accattivanti e positivi, sul valore del far parte di un mondo professionale che guarda apertamente al futuro.