Qualche riflessione sui dati CRESME sul valore della produzione nelle costruzioni del 2023

24 Giugno 2024 Luca Baldin


Molte sono le conferme che si possono desumere dalla pubblicazione da parte del CRESME dei valori della produzione nel mondo delle costruzioni dello scorso anno, che, come commenta Lorenzo Bellicini, Direttore del CRESME, segnano probabilmente l’anno zero non di una nuova era, che non ha più nulla a che vedere con i precedenti sei cicli edilizi post-bellici, ma si può definire come primo ciclo dell’ambiente costruito.

A confermare questa sensazione ci sono i dati che rilevano con cocciuta regolarità il fatto che ormai oltre il 73% del valore della produzione nel mondo delle costruzioni è dato da manutenzioni ordinarie e straordinarie; quindi, da interventi sul patrimonio edilizio esistente. Dato che si sposa perfettamente con quello sul nuovo costruito, che pone l’Italia all’ultimo posto in Europa, con circa una nuova costruzione ogni 1000 famiglie, a fronte delle 6,4 della Svezia e del 5,7 della Francia.

Quindi, in estrema sintesi, se il valore della produzione nel mondo delle costruzioni nel nostro Paese vale circa 300 miliardi all’anno (il 14% del PIL), meno di 67 sono attribuibili al nuovo costruito e tutto il resto va a manutenzioni ordinarie, straordinarie e a impianti.

Questo, come qualcuno ha potuto rilevare partecipando, è stato anche il tema dominate di gran parte delle relazioni delle prime quattro tappe del nostro roadshow, che hanno confermato che la grande partita che si è aperta con la cosiddetta Direttiva Europea sulle case green, in particolar modo in Italia, si giocherà sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e, in parte se sapremo trovare le misure adeguate, nella sua “sostituzione”.

Un tema ancora molto sottotraccia quest’ultimo, ma che, come ha sottolineato il prof. Riccardo Gulli a Bologna, non può essere derubricato, dal momento che accanirsi su edifici giunti al loro cosiddetto “fine vita” (e parliamo soprattutto dell’edilizia costruita tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento, con l’uso massiccio del cemento armato), può essere del tutto diseconomico e portare a risultati modesti sia dal punto di vista dell’efficienza energetica che del comfort abitativo, ma anche dell’ambiente costruito, ovvero delle nostre città.

Affermare, infatti, che siamo entrati nel primo ciclo dell’ambiente costruito significa esattamente questo, uscire dalla logica di affrontare il tema della riqualificazione limitatamente al singolo edificio ed affrontare il tema in senso più ampio, su scala urbanistica o, nel caso dei centri storici, come ha sottolineato il prof. Fatiguso ricordando lo storico contributo di Pier Luigi Cervellati, in base al “tipo” edilizio.

Nel momento in cui ci si accinge a studiare nuove forme di incentivazione, indispensabili al fine di raggiungere gli obiettivi vincolanti di decarbonizzazione al 2030 e al 2050, questo è un dato che deve essere considerato per utilizzare al meglio i (pochi) fondi che saranno a disposizione e che andranno utilizzati non già come è accaduto col Superbonus, ma secondo i criteri dell’efficacia e dell’efficienza dell’investimento.

La partita che ci attende è epocale e può ridisegnare il volto delle nostre città, ma occorrerà lavorare bene, coniugando l’esigenza di non consumare più suolo, con quella di ridisegnare gran parte delle prime periferie urbane delle nostre città, frutto il più delle volte di una dissennata speculazione edilizia e caratterizzate da edifici senza alcun pregio e, come ci ha spiegato il Prof. Gulli, giunti a fine vita.

Luca Baldin

Project Manager di Pentastudio e della piattaforma di informazione e marketing Smart Building Italia. È event manager della Fiera Smart Building Expo di Milano e Smart Building Levante di Bari. Dirige la rivista Smart Building Italia.