Dove vanno le costruzioni?

28 Giugno 2024 Luca Baldin


Abbiamo appena concluso un tour per l’Italia (il nostro ormai storico Roadshow) dove abbiamo posto sotto i riflettori il tema della twin transition digitale ed energetica nell’ambito del patrimonio edilizio esistente e di quello storico.
Un tema cruciale per il nostro Paese e che caratterizzerà fortemente gli sviluppi della lunga filiera industriale delle costruzioni dopo la sbornia da Superbonus e con sullo sfondo l’applicazione della nuova EPBD (Energy Performance Building Directive) con i suoi obiettivi sfidanti al 2030 e al 2050.

Con numerosi professionisti e docenti universitari ci siamo interrogati, da Milano a Palermo, su quali fossero le migliori politiche da mettere in atto, cosci degli errori fatti, anche nel recente passato, che hanno portato a numerosi sprechi di risorse, ma anche che la sfida è tutta lì, davanti a noi, e che non è immaginabile far finta che non ci sia, non fosse altro per il rispetto che dovremmo tutti avere nei confronti dei nostri figli, dei nostri nipoti e delle generazioni future.

In altri termini la nostra generazione, quella vituperata dei boomers, dopo aver affrontato uno dei periodi più turbolenti dal punto di vista economico del dopoguerra, ha finalmente davanti a sé una sfida epocale per la quale passare alla storia in senso positivo, oppure allineandosi semplicemente a quelle che l’hanno preceduta e alla loro scarsissima sensibilità al bene comune.

Tra i temi che sono emersi con forza nel corso delle quattro puntate del nostro Roadshow, da nord a sud – anche in termini provocatori – vi è quella che potrebbe apparire a dei tecnici una banalità, ma non lo è: l’esigenza di conoscere prima di intervenire, quindi di misurare. Un’esigenza che pone il tema della digitalizzazione generalizzata del patrimonio edilizio per raccogliere ed elaborare dati su cui basare la progettazione, l’esecuzione dei lavori e le successive verifiche. Basta, quindi, a definizioni aprioristiche sugli interventi e sul loro impatto sulle classi delle prestazioni energetiche (del tipo cambio gli infissi, miglioro automaticamente la classe energetica), l’approccio deve essere tailor made e basato sui dati.

Trasversale a tutti i temi affrontati quello della leva fiscale, da tutti ritenuta imprescindibile, ma alla quale occorre assicurare continuità, stabilità, sostenibilità e certezza dei risultati. Tutti elementi che sono mancati clamorosamente nei provvedimenti post pandemici. Sotto questo aspetto, probabilmente, il modo migliore per incentivare nel futuro gli interventi attraverso la leva fiscale sarà quello di premiare il reale miglioramento delle prestazioni, basato sulla loro misurazione ex ante e ex post, cancellando una volta per tutte il concetto di “fabbisogno”.

Dovendo pianificare la riqualificazione prima del 2030 non meno di 3 milioni di edifici, rilevante è anche il dove intervenire e come intervenire. Qui la provocazione più forte è venuta probabilmente da Riccardo Gulli dell’Università di Bologna, il quale ha posto il problema spinoso del “fine vita” per numerosi edifici (quelli costruiti in cemento armato tra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta, ovvero una percentuale molto cospicua del costruito) e della necessità di evitare quello che ha definito un “accanimento terapeutico” su immobili che, per molteplici ragioni, sarebbe diseconomico e talvolta impossibile portare a standard contemporanei. Non si parla, ovviamente, di edifici di pregio, che vanno salvaguardati e anch’essi rifunzionalizzati, ma dell’esigenza di evitare l’ulteriore consumo di suolo puntando alla sostituzione. Un approccio che tuttavia deve fare i conti col problema, tipicamente italiano, della frammentazione della proprietà immobiliare.

Se questo sarà uno degli obiettivi futuri del Paese è chiaro che ci sarà bisogno di una buona dose di fantasia da parte del legislatore, per mettere in campo provvedimenti fortemente incentivanti che possano innescare un processo di “travaso” da edifici vecchi e non recuperabili ad edifici di nuova concezione che potrebbe tradursi tuttavia in una straordinaria operazione immobiliare e fondiaria, che potrebbe fare perno sul patrimonio immobiliare dello Stato, ma anche sulla potenza di fuoco della Cassa Depositi e Prestiti e di potenziali fondi immobiliari internazionali.

A questi ragionamenti, sui quali dovremo inevitabilmente tornare, si aggiungono ora i dati dell’ultima indagine congiunturale sul mondo delle Costruzioni di CRESME, che forniscono quale ulteriore elemento su cui riflettere.

Come scrive Giorgio Santilli “Due sono i fenomeni principali che caratterizzano questo ciclo di dodici anni fra il 2016 e il 2027 e la fotografia del momento attuale. Il primo fenomeno per intensità è l’esplosione del rinnovo residenziale negli anni del Superbonus, con la punta del 48,5% raggiunta nel 2022 che è destinata a stabilizzarsi dal 2025 qualche punto sotto i livelli fisiologici di inizio ciclo, fra il 35 e il 36 per cento. L’altro fenomeno – ed è quello destinato a dominare il prossimo triennio – è la crescita della quota del comparto pubblico, spinto dal Pnrr sia sul fronte infrastrutturale che su quello del non residenziale. Questa quota, inchiodata fino al 2022 al 23% viaggerà fra il 35 e il 36 per cento, segnando nel 2026 uno storico sorpasso del rinnovo residenziale”.

Da questi dati, come evidenzia la tabella che pubblichiamo, emergono due driver fondamentali del comparto: le ristrutturazioni e i lavori sul patrimonio pubblico. Un trend che sembra avere molto fiato per andare lontano.

Luca Baldin

Project Manager di Pentastudio e della piattaforma di informazione e marketing Smart Building Italia. È event manager della Fiera Smart Building Expo di Milano e Smart Building Levante di Bari. Dirige la rivista Smart Building Italia.