Smart Building: a proposito di criticità
Pochi giorni fa ho avuto il piacere di partecipare ad una riunione della Community Smart Building di The European House Ambrosetti, svoltasi in occasione della manifestazione It’s Elettrica, promossa da Comoli Ferrari, dove mi era stato affidato il compito di identificare alcune delle criticità nell’introduzione di tecnologie smart nel patrimonio edilizio italiano.
Avendo avuto la fortuna di parlare tra gli ultimi relatori, ho potuto cogliere dalla stessa discussione uno dei punti probabilmente più critici del sistema, ovvero, nel momento in cui ci si accinge a definire le strategie italiane per raggiungere gli obiettivi posti dall’EPBD4, avere ancora tra gli addetti ai lavori un approccio settoriale e un po’ partigiano, con una evidente contrapposizione tra chi suggerisce interventi sull’involucro e chi accampa le virtù dei nuovi impianti e dei sistemi di building automation, quasi ci si trovasse ancora ad avere a che fare con interventi trainanti e trainati. Nulla di più sbagliato, dal momento che l’argomento della transizione energetica di un patrimonio edilizio complesso ed articolato, quanto vetusto, come quello italiano, non può che avvenire in una logica di neutralità tecnologica, che costituisce anche la premessa per evitare inutili e dannose contrapposizioni tra chi opera sull’involucro e chi sulle soluzioni impiantistiche.
Un obiettivo così ambizioso qual è quello della transizione energetica del patrimonio edilizio nazionale, che dovrà coinvolgere non meno di 9 milioni di edifici, non si può infatti cogliere se non con un’unitarietà di intenti da parte di tutti i soggetti coinvolti e da una conseguente capacità di fornire ai decisori politici informazioni e soluzioni univoche e non interpretabili.
La prima cosa da fare, quindi, è condividere un concetto molto banale, ma non scontato, ovvero che l’edificio, allo stato dell’arte, non costituisce un manufatto industriale, ma artigianale. Non c’è, quindi, un edificio uguale ad un altro, conseguentemente non esiste una soluzione giusta ed una sbagliata, ma una molteplicità di soluzioni possibili, e spesso miscelabili, che danno il risultato migliore in termini di efficacia ed efficienza sulla base di numerose variabili, non ultima il comportamento degli occupanti.
Bando quindi a qualsiasi atteggiamento manicheo o ideologico, e ben vengano tavoli come quelli di Ambrosetti, dove è possibile dirsi le cose con una certa franchezza e soprattutto verificare i punti di contatto tra le diverse posizioni, perché da questi e non dalle divisioni bisognerà partire.
L’altro punto critico, che ho ritenuto di evidenziare, è che occorre passare da un approccio premiante per gli standard di dotazione (quello del Superbonus per intenderci, che ha premiato anche gli interventi oggettivamente inutili), ad uno in grado di premiare solo gli standard di prestazione. Cosa intendo con questa affermazione? Semplicemente che, nel momento in cui ci si accingerà a definire i nuovi benefit fiscali per chi si appresta a migliorare le prestazioni energetiche del proprio immobile (e questo momento sicuramente arriverà se si intende cogliere gli obiettivi dell’EPBD4 anche in Italia), si dovranno premiare non la realizzazione di interventi che solo teoricamente assicurano un miglioramento nelle prestazioni energetiche, ma il reale miglioramento prestazionale di un immobile, ovvero il suo upgrading, misurando in modo strumentale il punto di partenza e il punto di arrivo e il relativo delta, come insegnerebbe qualunque ingegnere, sulla base della raccolta ed elaborazione dei cosiddetti big data.
Per fare questo si rende tuttavia necessario introdurre sistemi di monitoraggio che si basano su un’infrastruttura digitale d’edificio e su sensori, magari abbinata ad un edge computer in grado di raccogliere ed elaborare tutti i dati provenienti dall’edificio. Sembra molto complicato, in realtà pariamo di interventi prodromici assolutamente low cost, che potrebbero far risparmiare allo Stato e ai cittadini moltissimi quattrini, assicurando risultati di gran lunga migliori e con un ROI assolutamente sostenibile.
Se abbandoniamo, infine, il tema solo energetico (assolutamente prioritario), e guardiamo all’edificio con un approccio olistico, scopriamo che un’infrastruttura digitale quale quella descritta, si rende utile anche per l’introduzione di tutti quei servizi innovativi che, ancora una volta, potrebbero costituire per lo Stato un enorme risparmio – e penso solo ai servizi sanitari a distanza, piuttosto che all’assistenza agli anziani – oltre che un indubbio vantaggio per i cittadini. Se immaginiamo, infatti, l’edificio come una piattaforma aperta, pronta per un mercato di sviluppatori che non tarderebbe a crescere esponenzialmente, così come si è sviluppato quello delle app degli smartphone, il risultato porterebbe essere, come si dice, win win.
Detto ciò, sono cosciente che questo approccio, che personalmente caldeggio, può non essere sufficiente a raggiungere i risultati di carbon neutrality e il mix con un’arte del costruire che, anch’essa, sta evolvendo in modo importante, si renderà sicuramente necessario. Per questo è bene lasciare da parte le divisioni e tentare di andare avanti assieme.