Istat: imprese ancora poco digitali
«I risultati della rilevazione sull’utilizzo delle Ict mostrano che la banda ultralarga continua a diffondersi (tra il 2012 e il 2017 è passa dal 10 al 24% delle imprese), ma si amplia il divario tra PMI e grandi imprese. Quanto alle competenze del personale, il 12,1% delle piccole imprese e il 72,3% delle grandi impiega esperti Ict. Il 63% delle imprese è a bassa digitalizzazione (in maggioranza unità piccole, di settori tradizionali e costruzioni, con sede nelle regioni centrali e meridionali), il 32 a media, il 5 ad alta (in prevalenza imprese medio-grandi di elettronica, bevande, Tlc, alloggio, informatica)».
Questo passaggio tratto dal Rapporto sulla competitività dei settori produttivi pubblicato dall’Istat il 23 marzo scorso (relativo al 2017) ci ricorda idealmente la famosa frase espressa l’indomani dell’Unità d’Italia nel 1861: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani». Insomma, all’avanzata dell’infrastrutturazione di rete non corrisponde ancora una convinta propensione nell’adozione di tecnologie digitali innovative. Lo stesso Istat commenta, infatti, che «emerge un sistema che ha ancora molta strada da percorrere nella rincorsa alla rivoluzione digitale: due terzi delle imprese sono “Indifferenti” alla digitalizzazione dei processi produttivi, ritenendo l’Ict poco rilevante ai fini della propria attività».
Per quanto riguarda gli investimenti, infatti, «la forte contrazione registrata negli anni della recessione ne ha determinato un ridimensionamento come driver della ripresa. In particolare, il nostro Paese risulta penalizzato dal peso relativo della componente dei beni immateriali, meno rilevante rispetto a Francia e Germania, a fronte di una dinamica (e di un contributo al Pil) della componente in macchinari sostanzialmente simile a quella delle altre grandi economie dell’Uem (Unione economica e monetaria)». Si acquistano attrezzature, impianti, equipaggiamenti, si paga dazio con il digitale.
Eppure risulta che «nel biennio 2016-2017 le imprese con una maggiore propensione alla digitalizzazione hanno registrato una più intensa creazione di posti di lavoro e una parziale ricomposizione degli occupati a vantaggio delle figure professionali più qualificate. Tuttavia, la forte prevalenza di imprese a bassa propensione alla digitalizzazione ha determinato, per l’insieme del sistema produttivo, una redistribuzione degli skills occupazionali verso qualifiche professionali inferiori». Di conseguenza, un più basso livello di competenze si traduce inevitabilmente in una minore competitività nello scenario economico globale.
A parziale correzione della tendenza è intervenuto il Piano nazionale Impresa 4.0, opportunamente concepito «per stimolare la transizione digitale e gli investimenti immateriali». L’Istat avvisa che la quantificazione compiuta degli effetti del Piano è ancora prematura, ma le indicazioni fin qui raccolte mostrano un esito sostanzialmente positivo. Per esempio «il super ammortamento è stato ritenuto “molto” o “abbastanza” rilevante da circa 6 imprese manifatturiere su 10, l’iper ammortamento da circa 5 su 10 e il credito d’imposta per spese in R&S da 4 su 10». E misurando gli effetti sulla domanda di investimenti per il biennio 2018-2019 secondo il modello macroeconometrico dell’Istat «gli incentivi determinerebbero un incremento di spesa più elevato in beni immateriali che in beni materiali».
Infine, l’Istat raccomanda che «la trasformazione digitale può rappresentare per le imprese un’opportunità di sviluppo; d’altra parte il processo di digitalizzazione sta assumendo sempre più le caratteristiche di paradigma dominante per una transizione dell’intero sistema produttivo verso livelli strutturalmente più elevati di competitività».