Comunità energetiche: l’evoluzione della rete e nuove responsabilità per la figura dell’amministratore
È opinione comune che la transizione energetica, fulcro delle azioni previste dal PNRR (Piano nazionale per la ripartenza e la resilienza, noto anche come Recovery plan), costituirà una priorità assoluta per l’economia dei prossimi anni. Per ambire al successo, questa autentica rivoluzione in atto, dovrà innescare non soltanto cambiamenti tecnologici, ma anche cambiamenti culturali significativi. In quest’ottica, l’attivazione di nuove forme di azione collettiva e di economie collaborative, collegate alla diffusione delle tecnologie digitali, rappresenta lo scenario probabilmente più interessante e dall’impatto più profondo e duraturo in chiave di green economy.
Assume così particolare rilevanza, in questo quadro, il concetto di “comunità energetica” che introduce temi che vanno dal produrre e consumare assieme, al “vivere con”, in una logica di coabitazione pacifica tra uomo e ambiente, dove il tema energetico diventa cruciale.
Un processo in atto, si diceva, che sta già investendo ampie fasce di popolazione e che si stima che, nell’ambito della sola Comunità Europea, porterà entro il 2050 a trasformare oltre 264 milioni di cittadini da consumer a prosumer, grazie all’avvento, appunto, delle nuove comunità energetiche, che produrranno fino al 45% dell’elettricità rinnovabile complessiva del sistema.
Cosa significhi essere prosumer è presto detto: vuol dire non solo produrre l’energia che si consuma da fonti rinnovabili, ma anche condividere quella in eccesso con la rete o, meglio, con una rete di “consumatori” prossimi alla fonte di produzione, nel quadro di un sistema virtuoso che può prevedere anche forme di accumulo.
Obiettivo fondamentale delle comunità energetiche è, infatti, fornire energia rinnovabile a prezzi accessibili ai propri membri, accorciando significativamente la filiera. Decentramento e localizzazione sono quindi i principi su cui si basa questa innovativa forma di gestione delle risorse energetiche che, in Europa, trova fondamento in due direttive: la UE 2018/2001, relativa all’autoconsumo collettivo e alle Comunità di Energia Rinnovabile (CER) e la UE 2019/944, che definisce la comunità Energetica dei Cittadini (CEC).
Malgrado l’Italia non abbia ancora provveduto al recepimento delle due direttive, col Decreto milleproroghe del 29 febbraio 2020, l’art. 42-bis avvia una fase di sperimentazione sulla prima delle due, con impianti alimentati da energie rinnovabili con potenza non superiore a 200 kW, godendo di significativi sgravi fiscali. Una fase transitoria che si dovrebbe concludere entro giugno 2021, come prevedono le direttive europee, al fine di favorire il processo di condivisione e autoproduzione dell’energia in Italia che, da quanto emerso dagli studi dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, nel quinquennio 2021-2025, potrebbe coinvolgere circa 150-300 mila utenze non residenziali e oltre 1 milione di utenze residenziali, dando vita a circa 5-10 mila configurazioni di autoconsumo collettivo e circa 20.000 Comunità Energetiche Rinnovabili.
Scenari più che promettenti, quindi, ma per completare il quadro va considerato un ultimo aspetto, non marginale, come la gestione.
Questa appare, infatti, come una delle questioni cardine del nuovo sistema. La governance di una comunità energetica pone infatti non solo temi tecnologici, come l’esistenza di sistemi di monitoraggio, controllo e gestione della produzione/erogazione di energia; ma anche di competenze, in gran parte nuove o da implementare, specie nel campo, già critico, dell’amministrazione di immobili. Se è vero, infatti, che di norma la governance di una comunità energetica nasce dai portatori di interesse, ovvero dai proprietari degli immobili e delle attività coinvolte, i primi studi in materia rilevano come figura chiave il cosiddetto “facilitatore di comunità energetica” che, per molti versi, coincide con figure professionali note, come quelle dell’amministratore o del super-amministratore di immobili. Professionisti che, via via, stanno assumendo una crescente importanza nel processo di rigenerazione edilizia ed urbana, ma che necessitano a loro volta di una significativa crescita culturale e probabilmente di un migliore inquadramento normativo. La definizione chiara delle competenze di queste figure e delle loro indispensabili competenze costituisce ormai una questione non più procrastinabile, una vera e propria urgenza che, se non risolta, rischia di rappresentare il collo di bottiglia del sistema, in grado di rallentare il cambiamento da tutti auspicato.