La riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico ad uso residenziale
Tra le misure chiave del Green Deal europeo un posto di assoluto rilevo è occupato dalla ristrutturazione degli edifici, responsabili, come noto, di oltre il 40% dei consumi energetici del continente.
All’interno di questa macrocategoria rientrano, ovviamente, anche tutti gli edifici di proprietà pubblica, ovvero quelli con una peculiare destinazione d’uso (come ospedali, scuole, università, tribunali, sedi istituzionali), alcuni dei quali oggetto di misure specifiche del PNRR (scuole e tribunali), ma anche quelli ad uso residenziale convenzionato, ovvero la cosiddetta “edilizia popolare”.
Parliamo, in base alle più recenti rilevazioni del MEF, di circa 805 mila case popolari, per un totale di oltre 54 milioni di mq. di superficie, che ospitano 2,2 milioni di persone e il cui valore a prezzi di mercato è stimato in 297 miliardi di euro.
La maggior parte dei fabbricati censiti in questa categoria è di proprietà delle amministrazioni locali, che pesano per il 66% circa in termini di unità immobiliari e per l’81% in termini di superficie.
Gli elementi che accomunano gran parte di questo vasto patrimonio immobiliare sono la marcata obsolescenza, dal momento che la maggior parte dell’edilizia sociale è stata realizzata negli anni compresi tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni Settanta, la conseguente inefficienza energetica, ma anche una certa omogeneità tipologica determinata dal grande investitore pubblico, cosa che lo rende un target particolarmente indicato per studiare interventi altamente replicabili.
A conferma di quanto sopra, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, già dall’inizio del 2020, prevede l’istituzione di un programma specifico di efficientamento degli edifici di edilizia popolare come una delle misure chiave della transizione energetica del Paese. In particolare, il piano mira a contrastare la cosiddetta “povertà energetica” che, come ha chiarito il pacchetto Clean Energy for all Europeans, è il risultato dell’interazione tra il tema energetico e le politiche sociali.
Operare nel vasto ambito dell’edilizia popolare ha quindi molteplici risvolti di grande interesse, quali l’equità sociale, la possibilità di sperimentare processi industrializzati per il revamping, la riqualificazione di interi quartieri dormitorio con una indubbia ricaduta positiva sulla qualità urbana; tutti aspetti che consigliano fortemente di agire sfruttando il volano delle risorse messe a disposizione in misura cospicua dal PNRR e che, a dire il vero, alcune Regioni stanno già sfruttando, con bandi mirati.
Nel quadro complessivo descritto, entra in gioco la qualità degli interventi e la loro stessa tipologia. Molti, infatti, hanno evidenziato la difficoltà oggettiva di realizzare interventi altamente invasivi, quali quelli richiesti per trasformare un edificio energivoro in un edificio Nzeb in un contesto sociale problematico, suggerendo, per esempio, di abbinare al concetto di povertà energetica quello di “comfort abitativo” che è strettamente collegato a quello di “standard abitativo accettabile”.
Se l’obiettivo, quindi, non è perseguire ciecamente un obiettivo astratto quale quello di convertire edifici vetusti in edifici Nzeb, ma quello di migliorarne le performance al fine di ridurre i consumi ma anche di migliorare sensibilmente la qualità della vita degli occupanti, ecco che la soluzione tecnologica basata sul revamping impiantistico appare la più semplice da adottare, ma anche la più utile al fine di consentire gestioni centralizzate basate su un monitoraggio dei consumi, nonché una sensibilizzazione di una componente critica della società verso i temi della transizione ecologica.