Lo storage: cos’è e perché è fondamentale per la transizione energetica
Il sole c’è di giorno (ma può anche essere sotto una fitta coltre di nubi) e sicuramente non c’è di notte; il vento può essere impetuoso o completamente assente.
Sono cose che tutti conosciamo, ovvietà. Ma diventa tutto meno ovvio e scontato nel momento in cui ci poniamo l’obiettivo di sostituire l’attuale modello di produzione energetica, basata sulle grandi centrali a combustibili fossili (carbone, olio combustibile e gas in primis) con le cosiddette energie rinnovabili, che sono un mix che mette assieme la luce solare, il vento, il ciclo dell’acqua, le maree, le onde, il calore geotermico e le biomasse.
Alcune di queste “fonti”, infatti, sono per loro natura intermittenti o incostanti, quasi sempre difficilmente prevedibili. Talvolta, inoltre, e pensiamo all’energia solare, la sua produzione tende a non coincidere con il consumo; pensiamo banalmente alle abitazioni nelle quali il picco di consumo solitamente è serale, creando un disallineamento temporale problematico col momento di massima produzione.
Per essere affidabile, quindi, una rete energetica (a livello nazionale, ma anche su scale molto più piccole) deve avere dei consistenti margini di sicurezza, nel senso che deve garantire la continuità del servizio, cosa che finora si è sposata poco e male proprio con alcune delle tecnologie più in uso per produrre energia pulita.
A correre in soccorso di un sistema di produzione energetica sostenibile, altrimenti virtuoso, vi sono gli strumenti di accumulo (“storage” in inglese), che altro non sono che potenti batterie in grado di immagazzinare l’energia nel momento in cui viene prodotta e di restituirla nel momento in cui serve all’utente, azzerando la sfasatura temporale.
I sistemi di storage (batterie e sistemi idroelettrici di pompaggio in primis, in attesa dello sviluppo delle e tecnologie basate sull’utilizzo dell’idrogeno), costituiscono quindi un complemento fondamentale ai sistemi di produzione di energia pulita, bilanciando la domanda e l’offerta e contribuendo a stabilizzare la rete.
Negli edifici, ad oggi, sono le batterie – spesso collegate in sequenza – i sistemi di storage più diffusi, e la loro crescita sta determinando anche una vera e propria rivoluzione tecnologica, che le sta portando a livelli di efficienza e di affidabilità elevatissimi grazie all’introduzione di nuovi materiali e di soluzioni tecnologiche all’avanguardia che, se da un lato stanno riducendone i costi di produzione, dall’altro stanno migliorando anche il loro impatto ambientale inserendole in una logica di economia circolare.
Per dare il senso dell’importanza e delle prospettive del settore, il report IRENA (International Renewable Energy Agency) del 2017 ha evidenziato che a un potenziale raddoppio della diffusione delle rinnovabili nel periodo 2017-2030, dovrà corrispondere un triplicamento dello stock di energia elettrica disponibile nei sistemi di storage: dai 4,67 TWh del 2017 a un range compreso tra gli 11,89 e i 15,72 TWh del 2030.
Dati che ci consegnano, con l’autorevolezza di IRENA, uno scenario di sviluppo di medio termine molto importante per il comparto.
D’altro canto, il tema dell’energy storage, appare strategico al di là di ogni ragionevole dubbio, al punto che ormai non vi è quasi più proposta di impianti solari che non sia abbinata a sistemi di accumulo. Un modo nuovo di produrre, gestire e consumare energia, quindi, che in prospettiva potrà contare anche su un altro grande “alleato”, già presente tra noi, che si chiama “vehicle to grid”: ovvero l’enorme quantità di batterie a bordo dei veicoli elettrici che sono già in grado di immagazzinare energia, ma che nei casi più evoluti possono restituirla alla rete. Trattadosi in prospettiva di milioni di veicoli in ogni Paese, si tratta di un’enorme “riserva” energetica che costituirà l’altro versante sfruttabile per garantire la stabilità della rete. Ma sempre di batterie, in fondo, parliamo.