Bisognerebbe capire che la direttiva UE sulle case green è una straordinaria opportunità
Il Parlamento Europeo ha approvato il 14 marzo scorso in prima lettura la riforma della direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici.
Un’approvazione a maggioranza (343 i favorevoli contro 216 contrari e 78 astenuti) che ha suscitato tuttavia immediate polemiche nel nostro Paese, col Governo impegnato a tirare il più possibile il freno a mano, preoccupato per la ricaduta che un simile provvedimento avrebbe sulle famose “tasche degli italiani”.
La nuova direttiva, va detto, non è cogente, perché la sua approvazione da parte del Parlamento avvia semplicemente la fase di concertazione col Consiglio Europeo, dove le posizioni non sono così scontate. È tuttavia indubbio che definisce una linea di indirizzo, che è quella di spingere fortemente sull’acceleratore delle ristrutturazioni e delle riqualificazioni energetiche del patrimonio immobiliare continentale, come condizione fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione posti, come noto, al 2030 e al 2050.
I numeri reali del patrimonio edilizio italiano
Ma proviamo a capire bene qual è la posta in gioco evitando di buttare sul tavolo numeri a caso.
Il patrimonio edilizio italiano è costituito da circa 12 milioni di edifici, a cui corrispondono circa 35 milioni di unità immobiliari. Di questi 12 milioni, secondo i dati resi noti da ANCE, circa il 35% è in classe G e il 25% in classe F, ovvero le due classi che definiscono gli immobili con le peggiori performance energetiche.
Scopri lo speciale sul contributo delle ristrutturazioni
ai risparmi energetici del settore
La Direttiva dell’Unione Europea, oltre ad obbligare (dove possibile) l’installazione di pannelli fotovoltaici per l’autoproduzione di energia in tutti gli edifici di nuova costruzione, pone l’obiettivo che entro il 2030 tuti gli edifici debbano essere almeno in classe E ed entro il 2033 almeno in classe D, coinvolgendo, quindi, in linea di principio circa 7 milioni di edifici in Italia, un’enormità.
Ma sono davvero 7 milioni gli edifici in Italia soggetti alla Direttiva sull’efficientamento energetico?
Il primo segnale che non si tratta di un numero così elevato è che nel nostro Paese è dal 2006 che, grazie agli incentivi fiscali, si realizzano interventi di efficientamento energetico, che hanno già coinvolto circa 5,5 milioni di edifici. E’ presumibile che una fetta rilevante di questi abbiano migliorato la loro classe energetica e che questo miglioramento non sia sempre stato registrato aggiornando l’APE (Attestato di prestazione energetica), dal momento che i proprietari italiani di immobili hanno provveduto molto raramente all’aggiornamento decennale che sarebbe previsto per legge. Questo per dire che il punto di partenza potrebbe essere molto diverso da quel dato fornito da ENEA e ripreso da ANCE.
Gli edifici esentati dalla Direttiva Europea
Dal dato di partenza occorre inoltre togliere tutto ciò che la Direttiva Europea consente di esentare, ovvero gli alloggi sociali di proprietà pubblica, gli edifici vincolati, le seconde case se utilizzate meno di 4 mesi all’anno e ancora tutti gli immobili autonomi di superficie inferiore ai 50 mq. Come se non bastasse la Direttiva prevede una flessibilità nell’attuazione che consente ad ogni Stato di sottrarre al computo il 22% di tutti gli edifici residenziali e ancora di procrastinare la scadenza del 2030 al 2037 alla luce di comprovate impossibilità.
Circa 1,8 milioni di edifici da efficientare nella prima fase
Rifatti i conti, ANCE ci dice che la prima fase riguarderà al massimo 1,8 milioni di edifici, al 50% condomini e il rimanente case unifamiliari. Decisamente meno quindi dei 7 milioni di cui sopra, anche se pur sempre un numero importante. Se consideriamo, inoltre che proprio la Commissione Europea ha raccomandato di accompagnare l’applicazione della direttiva con adeguati incentivi fiscali (che in Italia ammontano già al 65%), sappiamo anche, com’era logico, che una fetta non trascurabile di questo enorme intervento di riqualificazione sarà a carico dell’Unione stessa e degli Stati membri.
La domanda che sorge spontanea è allora: perché tanto rumore?
Perché non riconoscere in questo provvedimento di indirizzo la volontà dell’Europa di mettersi alla testa di coloro che responsabilmente contrastano il degrado ambientale e il riscaldamento del pianeta?
Ovvero di assolvere al comito che è proprio della Politica con l “P” maiuscola?
Cosa fare con la carenza di manodopera del settore edilizio?
Abbiamo un problema di manodopera specializzata, si è detto. Verissimo.
Allora affrontiamolo, sia con politiche della formazione che con politiche dell’immigrazione di personale qualificato. Non si risolverà in un giorno, ma almeno si sarà dato un preciso indirizzo al mercato, che di questa rivoluzione in atto può essere il primo beneficiario, e il mercato, alla fine, siamo tutti noi.