Gli strani costi dell’ultimo miglio
Pochi giorni fa si è tenuto il Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale (CITD) presieduto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti.
Già numerosi organi di stampa hanno evidenziato l’ambizioso obiettivo emerso dalla riunione, ovvero accelerare il cosiddetto “take up” della rete BUL (l’adozione da parte degli utenti finali di connessioni ultraveloci dove disponibili) dall’attuale 14% al 50% entro il 2026.
Il tema della sottoscrizione di abbonamenti FTTH continua ad essere il dato più negativo del sistema Paese sotto il profilo del progresso digitale. Nulla hanno potuto in tal senso i voucher al consumatore finale, che raramente ne fa una questione di prezzo, ma di opportunità. Il passaggio da una rete poco performante ad una ad elevate prestazioni. Infatti, avviene solo se l’utilizzatore finale ne avverte la necessità; quindi, il problema non è quanto costa, ma a che cosa serve. La rete, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non è altro che un’infrastruttura abilitante; se non viene “vestita” di nuovi servizi per il cittadino, il suo appeal sarà sempre modesto. Quindi, il vero tema non è dare altri soldi agli operatori (come sembra essere emerso dal Comitato Interministeriale), ma chiedere loro di sviluppare un business diverso, smarcato dalla rendita di posizione dell’abbonamento alla rete e più propenso a proporre servizi innovativi.
Ma se prestiamo così tanta attenzione a chi ha la fortuna di essere già raggiunto dalle nuove reti BUL e, ciò nonostante, fatica a trovare buone ragioni per modificare la propria connessione, non di meno deve colpire quel dato scandaloso del 24% degli italiani che viceversa vorrebbe migrare ad un servizio FTTH ma non ci riesce, perché sempre gli stessi operatori non hanno approntato una rete idonea a farlo.
A sentire gli operatori è un problema di costi e di difficoltà ad entrare negli edifici, scusa che sembra un po’ la classica foglia di fico, dal momento che ci sono intere città anche di media dimensione, in cui non si va oltre l’FTTC. Possibile che un’intera popolazione si sia coalizzata contro gli operatori?
Ma andiamo ai costi: gli operatori dichiarano che l’onere a cui vanno incontro per connettere un singolo utente in modalità FTTH è compreso in una forbice che va dai 600 ai 1000 euro. Troppo per loro per farvi fronte autonomamente, giustificando in tal senso una richiesta di intervento della mano pubblica per abbatterlo.
Troppo! Lo diciamo anche noi. Dal momento che quel costo nasconde un’inefficienza macroscopica, ovvero, il fatto che anziché infrastrutturare gli edifici una volta per tutte con tutti i potenziali utenti, gli operatori tendono a muoversi “a chiamata”, ovvero connettendo un utente alla volta e solo nel momento in cui richiede di essere allacciato alla rete BUL, facendo lievitare i costi di manodopera. Se facciamo, infatti, un semplice raffronto listini alla mano, sul costo di installazione di un impianto multifibra eseguito come previsto dalla Guida CEI 306-2 e, quindi, utile non solo a garantire la connettività a tutti i condomini, ma a supportare numerosi altri servizi d’edificio, difficilmente si va oltre i 350-400 euro a condòmino.
Dal momento che qualsiasi Governo dovrebbe avere a cuore un principio fondamentale, ovvero il raggiungimento dei propri obiettivi col minor sforzo (anche economico) possibile, perché allora anziché erogare nuovi fondi agli operatori per realizzare impianti inutilmente costosi, non varare un voucher a favore dei proprietari di immobili o dei condomini volto alla sostituzione degli impianti verticali in rame esistenti con nuovi impianti in fibra (anzi, multifibra), spianando la strada a quegli stessi operatori che da anni si lamentano di far fatica ad entrare negli edifici degli italiani?