Il primato sull’IA non è solo una questione di economia, e DeepSeek non conosce la strage di Tienanmen
È notizia di queste ore l’effetto dirompente che ha avuto sul mercato azionario statunitense l’affacciarsi della cinese DeepSeek sul mercato dell’intelligenza artificiale. In poche ore l’annuncio del lancio entro poche settimane del suo chatbot open source e gratuito ha determinato una scalata vertiginosa nelle classifiche dei principali app store e, soprattutto, lo scavalcamento dei campioni statunitensi del settore, ovvero OpenAI. Il crollo non ha risparmiato nemmeno Nvidia, ovvero del principale produttore americano di microchip destinati all’IA.
La piattaforma di DeepSeek, alimentata dal large language model (LLM) R1, ha attirato l’attenzione internazionale grazie a un costo di sviluppo straordinariamente basso, che rischia di mettere fuori mercato i competitor occidentali, e una accuratezza nei risultati che lo pone ai vertici della categoria.
L’arrivo sul mercato di DeepSeek ha fatto ipotizzare ad alcuni analisti che fosse arrivato il momento in cui la bolla tecnologica della borsa americana fosse sul punto di esplodere e di qui la corsa alle vendite e la caduta vertiginosa dei listini.
Se da un canto è ancora molto probabile che si tratti di un classico fenomeno di isteria borsistica in grado di rientrare, ciò che è accaduto si lega ad altre notizie non meno rilevanti e ci deve portare a riflettere.
La principale notizia che mi sembra corretto legare a quella che riguarda la start up cinese è l’annuncio all’indomani dell’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, di un maxi-investimento di 500 miliardi di dollari sullo sviluppo dell’IA da parte di una joint venture denominata Stargate e composta da SoftBank, OpenAI e Oracle.
E’ ben noto che gli USA, ancora durante l’amministrazione Biden, avessero fatto tutto ciò che era lecito fare per consolidare il primato americano nel campo dell’intelligenza artificiale e frenare lo sviluppo cinese. Ebbene, l’annuncio di ieri sembra aver dimostrato che tale sforzo è stato probabilmente invano e che la corsa a due è ancora totalmente aperta.
Ma si tratta solo di un dominio tecnologico o vediamo sullo sfondo qualche cosa di più, ovvero un possibile dominio culturale, che è cosa ben diversa e per certi versi più grave?
Sui social circolano da ieri numerosi post di esperti (da prendere con le pinze) che hanno sottoposto a stress test il Chatbot cinese, evidenziando il fatto che esso presenti degli evidenti limiti nel momento in cui si esce dal tecnico e si entra, appunto, su temi sensibili di natura politico-culturale.
Ho provato personalmente ad interrogare per esempio DeepSeek sulla strage della piazza Tienanmen, e la risposta è stata la seguente: “Sorry, that’s beyond my current scope. Let’s talk about something else”.
È soltanto un esempio, che con ogni probabilità può trovare in parte qualche parallelo anche nei chatbot occidentali, ma che ci dimostra in modo lampante che l’uso dell’IA non è mai neutro e che dipende da chi scrive e gestisce l’algoritmo.
In altri termini, come ricorda sempre Padre Paolo Benanti, bisogna comprendere che c’è un nuovo scenario etico col quale bisogna assolutamente fare i conti. Avere a che fare con l’IA rischia infatti di orientare scelte e decisioni. Potenzialmente, infatti, abbiamo a che fare con una tecnologia di inaudita potenza in grado di accreditare a livello mondiale un pensiero unico.