L’equivoco sull’energia primaria e il processo di decarbonizzazione
Di Energia Primaria si parla diffusamente dagli anni Settanta del Novecento e con questo termine si intende generalmente l’energia grezza necessaria a far funzionare un Paese ed il suo sistema economico-sociale.
Fin da quegli anni (ovvero dalla prima grande crisi petrolifera del 1973) la grande preoccupazione dei Paesi occidentali è stata quella di non averne a sufficienza per alimentare i propri sistemi produttivi, cosa che portò a fondare l’IEA (Agenzia Internazionale per l’Energia) che ha sempre avuto come unico parametro proprio la domanda di energia primaria e i metodi per soddisfarla.
Questo dato (la quantità di energia primaria necessaria), costituisce il principale appiglio a cui si attaccano tutti gli scettici della transizione energetica in atto, quasi si potesse stabilire una connessione diretta tra domanda di energia primaria e domanda di servizi che richiedono energia per funzionare. L’equazione che sostengono, infatti, è più servizi uguale più energia necessaria, ovvero ancora, dal momento che la domanda di servizi innovativi non smette di crescere, parallelamente la domanda di energia primaria crescerà e per ogni Paese sarà necessario assicurarsi di poterla avere a disposizione e le fonti rinnovabili non saranno sufficienti.
In realtà l’evoluzione tecnologica ci sta dimostrando che questa equazione non funziona più e che lo sviluppo di nuovi servizi/tecnologie non è direttamente correlabile ad un aumento di domanda di energia primaria, ovvero che la domanda di energia primaria non è una vera misura della domanda in senso lato.
L’esempio che chiunque è in grado di comprendere è quello della domanda di illuminare una stanza: una domanda che fino a poco tempo fa si poteva soddisfare usando una lampadina a incandescenza da 75 W, tenendola accesa per 2.000 ore l’anno e consumando quindi 150 kWh che, se prodotti da una centrale a carbone con un’efficienza del 35% e perdite di rete del 10%, faceva sì che la domanda di energia primaria per illuminare quella stanza fosse di 476 kWh. Se però per soddisfare la stessa domanda (illuminare una stanza per 2000 ore l’anno) oggi usiamo una lampadina a LED da 10W alimentata dal tetto fotovoltaico di casa, riduciamo automaticamente la domanda primaria di energia del 95%, ovvero a 24Kwh, riducendo drasticamente le emissioni di CO2 senza intaccare minimamente la qualità del servizio richiesto.
Ugualmente se si passa da un’auto a combustione interna ad una elettrica ricaricata con fonti rinnovabili, si può ottenere una riduzione del 75% del fabbisogno di energia primaria e si elimina il 100% delle emissioni dal motore, senza riduzione della mobilità.
Un terzo esempio riguarda il riscaldamento di una casa media di un Paese Occidentale. Se il riscaldamento è a gas o a gasolio, dopo aver tenuto conto del 15% di perdite a monte e del 90% di efficienza della caldaia, il consumo di energia primaria si attesterà attorno ai 21 MWh all’anno. Passando a una pompa di calore con un coefficiente di rendimento medio annuale di 4 e si tiene conto del 10% di perdite di rete, il consumo si riduce a 4,6 MWh. Se poi la pompa di calore fosse alimentata con elettricità pulita è possibile ridurre il fabbisogno di energia primaria del 78% senza alcuna riduzione del comfort.
Questo per dire che una fetta molto rilevante (si è calcolato circa i due terzi negli Usa) dell’energia primaria consumata, allo stato attuale, va semplicemente sprecata.
Alla luce di questo semplice ragionamento ne deriva che l’obiettivo della transizione energetica non è la sostituzione dell’intera domanda di energia primaria attuale con fonti rinnovabili, ma in realtà molto molto meno, grazie all’efficienza delle nuove apparecchiature e soluzioni tecnologiche che pur garantendo una qualità del servizio uguale o addirittura superiore, consumano (e soprattutto sprecano) molto meno (si pensi al riguardo all’energia sprecata dai motori a combustione in termini di calore da dissipare).
Vale quindi la massima che dovrebbe entrare nella testa a tutti coloro che hanno potere decisionale: la transizione energetica si ottiene anzitutto col risparmio; ma risparmio, aggiungiamo ora, non significa affatto avere meno servizi o peggiori. Possiamo quindi guardare al futuro con un po’ di più ottimismo.