Superbonus e incentivi fiscali all’edilizia: errori da evitare e obiettivi da cogliere
Il Decreto Legge n. 21 del 16 febbraio, va sottolineato, non ha cancellato nessun bonus edilizio esistente, ma ha eliminato semplicemente la possibilità di cedere il credito fiscale o di ottenere lo sconto in fattura.
L’improvviso, ma ampiamente annunciato stop alla cessione del credito e allo sconto in fattura per tutti i bonus edilizi ha fatto alzare decisamente i toni del dibattito e, come sempre, quando dai ragionamenti si passa alle urla, la razionalità rischia di perdersi per strada.
Che il Superbonus fosse stato concepito in modo pasticciato, un po’ demagogico e senza badare gran che agli effetti reali lo si sapeva da tempo, così come si sapeva che altri bonus edilizi (il bonus facciate per esempio) celassero gigantesche truffe ai danni dello Stato. Tant’è che già il Presidente del Consiglio Mario Draghi aveva manifestato senza messi termini l’intenzione e la necessità di rivederne i meccanismi, a partire da quel 110% che aveva determinato una bolla speculativa che aveva portato all’esplosione dei prezzi di forniture e lavori.
Che l’attuale Governo presieduto da Giorgia Meloni, quindi, dovesse mettere mano a questo meccanismo costato già più di 100 miliardi allo Stato (ovviamente al lordo dell’aumentato gettito fiscale, che nessuno cita mai) era semplicemente scontato.
Il problema è come ottenere il Superbonus nel 2023
Il Decreto Legge n. 21 del 16 febbraio non ha cancellato nessun bonus edilizio esistente, ma ha eliminato semplicemente la possibilità di cedere il credito fiscale o di ottenere lo sconto in fattura.
In tal senso sembra più un intervento emergenziale che una riforma strutturale del sistema dei bonus edilizi. Quindi, dopo circa una ventina di modifiche al provvedimento sul Superbonus in corso, il provvedimento del Governo Meloni non fa altro che aggiungerne un’altra, aumentando la confusione e l’incertezza già lamentata da tutti gli operatori della filiera, che viceversa hanno bisogno di un sistema coerente e soprattutto stabile nel tempo.
Il blocco della cessione del credito, oltretutto, penalizza soprattutto coloro che non dispongono di redditi elevati che determinino elevati livelli di tassazione, aumentando, quindi, quell’iniquità già lamentata che aveva prodotto interventi squilibrati a vantaggio dei cittadini più abbienti.
Ma il vero ragionamento da fare è un altro, ovvero il rapporto costi-benefici messo in relazione all’obiettivo che si intende raggiungere.
Se l’obiettivo del primo Superbonus era quello di far ripartire a razzo l’economia dopo la crisi pandemica, bisogna ammettere che è stato raggiunto, pur a costi elevatissimi per la collettività (ma quanto sarebbe costata alla collettività una crisi senza uscita?). Nel momento in cui l’obiettivo non è più la reazione all’emergenza, ma diventa il miglioramento delle performance energetiche del patrimonio edilizio nazionale, notoriamente obsoleto, è legittimo tuttavia chiedersi quali siano gli strumenti più idonei a raggiungerlo, che probabilmente non sono più quelli da cui origina il celebre 110%.
La domanda che un Governo dovrebbe porsi è, quindi, quali interventi mi consentono di raggiungere quegli obiettivi al minor costo possibile e possibilmente con interventi socialmente equi?
Se dobbiamo, per esempio, porci l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione posti dall’Europa per il 2030, scopriamo che il settore edilizio dovrebbe ridurre le emissioni del 55% rispetto a quanto consumava nel 2015, ma che, soprattutto, questo obiettivo è raggiungibile attraverso un mix di interventi, tra i quali ritroviamo una riduzione dei consumi energetici per riscaldamento e raffrescamento del 18% e del consumo di energia finali del 14%. Obiettivi tutt’altro che impossibili da raggiungere anche semplicemente governando i propri impianti in maniera corretta e sfruttando in tal senso la tecnologia.
Quindi, se per un verso è evidente a tutti che non si potrà fare a meno della leva fiscale, perché la sfida è troppo impegnativa per poter gravare sulle sole spalle dei cittadini, non di meno è legittimo chiedersi quali interventi privilegiare e come misurare i risultati non empiricamente, ma scientificamente, evitando anche una buona dose di frodi
In tal senso la disattenzione prestata fino ad oggi all’home and building automation e alla possibilità dell’applicazione dell’intelligenza artificiale al settore building appare grave e per certi versi paradossale.
Sarebbe quindi auspicabile che nel momento in cui si dovesse mettere mano ad un ridisegno razionale del sistema dei benefit sul sistema casa, anzitutto si guardasse strategicamente agli obiettivi che ci siamo posti al 2030 e anche al 2050, producendo un quadro stabile entro il quale i diversi operatori possano costruire le loro strategie di medio lungo termine, e successivamente si facesse una valutazione attenta sugli strumenti che lo sviluppo tecnologico ci mette a disposizione e che possono contribuire, spesso a costi estremamente contenuti, al raggiungimento di quegli obiettivi.