Impianti fotovoltaici, la produzione europea arranca
Incalzata dalla concorrenza cinese, la fabbricazione dei pannelli nel nostro continente è ridotta al lumicino. I produttori sollecitano un intervento UE
L’ultima presa di posizione, che molto assomiglia a un S.O.S. lanciato da una nave che rischia di soccombere alla tempesta, consiste in una lettera inviata alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, da parte dell’ESMC. Quest’ultimo è l’acronimo che indica l’European Solar Manufacturing Council, l’associazione continentale dei fabbricanti di pannelli solari.
“Siamo in una situazione senza precedenti – si legge nella missiva –. L’UE sta entrando in una fase cruciale in cui, nelle prossime 4-8 settimane, i principali produttori europei di moduli fotovoltaici e i loro fornitori sono pronti a chiudere le linee di produzione a meno che non vengano prontamente attuate misure di emergenza sostanziali”.
Solo 6 GW di moduli all’anno
Un allarme eccessivo o addirittura ingiustificato? Certamente no, almeno per due buoni motivi. Il primo è che la crisi produttiva del Made in Europe non rappresenta certo un fulmine a ciel sereno, visto che se ne parla da anni con crescente preoccupazione. La seconda ragione è che nella lettera dell’ESMC sono riportati con dovizia i numeri che illustrano la crisi: ad esempio, i produttori europei sono attualmente in grado di produrre solo 6 GW di moduli solari all’anno, mentre nel 2023 l’UE ha installato un totale di circa 56 GW. E su chi abbia soddisfatto quei 50 GW di differenza ci sono ben pochi dubbi…
“Le aziende cinesi – ha accusato Zygimantas Vaiciunas, il direttore dell’ESMC – vendono in Europa i loro moduli fotovoltaici al di sotto dei costi di produzione”.
Ma come spesso capita, un conto è individuare le cause del problema, altra cosa trovare delle soluzioni efficaci. I produttori come primo intervento dell’Unione Europea per rilanciare il mercato chiedono l’acquisto delle grandi scorte di moduli fotovoltaici accumulate nei magazzini del continente, con risorse da rendere disponibili attraverso un fondo speciale a livello europeo. Ma si tratterebbe di un classico intervento “tampone”, come sottolineato in un recente articolo del Financial Times. Per l’autorevole testata britannica, anche riuscendo a trovare delle soluzioni di finanziamento per aiutare i produttori del continente ed evitare ulteriori fallimenti, “le dimensioni ridotte dell’industria fotovoltaica europea sono destinate a rimanere problematiche”.
Il caso dell’azienda Meyer Burger
Si diceva di una storia, quella della crisi produttiva del comparto fotovoltaico europeo, che non solo prosegue da anni ma purtroppo aggiunge ulteriori capitoli. Il più recente riguarda l’ultimo grande produttore di moduli fotovoltaici in Germania, la cui attività si sta esaurendo proprio in questi giorni. Meyer Burger (questo il nome dell’azienda di proprietà svizzera) ha infatti annunciato la conclusione della produzione nello stabilimento di Freiberg in Sassonia, con 500 lavoratori impiegati, alla fine del mese di marzo. Una decisione presa in seguito al continuo accumularsi delle perdite operative negli ultimi anni e il crollo fino al del 90% del prezzo delle azioni. Oltre, inevitabilmente, alla “solita” ragione richiamata nel comunicato del maggior azionista di Meyer Burger: “La mancanza di protezione contro la concorrenza sleale della Cina ha messo a repentaglio anni di duro lavoro da parte di eccellenti dipendenti in Europa”.