La COP29 pensa ai finanziamenti ma si dimentica degli obiettivi energetici
A Baku un’edizione deludente del summit. I Paesi legati ai combustibili fossili riescono a impedire la definizione di nuovi target per la transizione energetica
Chi vuole bocciare gli esiti della recente COP 29, la Conferenza annuale globale sul clima svoltasi a Baku, la capitale dell’Azerbaigian, ha buon gioco nel puntare il dito contro un’evidenza: se alla fine gli unici risultati importanti del summit, che ha registrato la partecipazione di quasi 200 delegazioni nazionali, riguardano questioni finanziarie e non energetiche e ambientali, allora c’è qualcosa che non torna…
Limitare il cambiamento climatico
Al riguardo è bene rammentare che compito della COP è soprattutto quello di indicare in modo concreto una serie di target da raggiungere – ad esempio per la diffusione delle fonti rinnovabili e l’abbandono dei combustibili fossili – in modo di riuscire a limitare il più possibile l’innalzamento globale delle temperature che, nel prosieguo di questo secolo, potrebbe determinare una serie di eventi devastanti a livello meteorologico, con le relative conseguenze ambientali, economiche e sociali. Ebbene, come anticipato, a Baku di una revisione al rialzo degli obiettivi energetici e ambientali precedenti non si è proprio discusso.
E a rendere ancora più allarmanti gli eventi del summit c’è il fatto che dell’assenza nel documento finale di nuovi target da raggiungere non si è stupito proprio nessuno… Una disillusione che è il logico frutto di quanto accaduto nella precedente COP28 di Dubai, una sede che ha sancito, anche in modo simbolico, il ritorno nelle stanze in cui si determinano i futuri equilibri energetici del pianeta dei grandi produttori di combustibili fossili, come i Paesi del Golfo Persico. Gli stessi Paesi che, appunto, nell’Azerbaigian hanno fatto valere una sorta di “diritto di veto” relativamente agli argomenti per loro più spinosi, come l’indicazione di termini più stringenti per l’uscita dai consumi fossili.
Più risorse per i Paesi in via di sviluppo
Quel che resta di Baku sono quindi gli accordi di tipo finanziario. Come quello che prevede da parte delle nazioni economicamente più sviluppate l’erogazione di risorse, pari ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno per il prossimo decennio, a supporto della transizione green nei Paesi in via di sviluppo. Un’intesa peraltro molto sofferta e subito criticata da molti dei suoi beneficiari, dopo che uno studio indipendente aveva quantificato in almeno mille miliardi all’anno l’ammontare necessario per garantire i Paesi più poveri, soprattutto dalle conseguenze degli eventi climatici estremi. Altro elemento di contrasto, il fatto che parte di queste risorse potranno essere erogate sotto forma di prestiti e non a fondo perduto.
Un’altra intesa di stampo prettamente finanziario raggiunta a Baku è la riforma del mercato dei crediti di carbonio. Quest’ultimi vengono generati da anni in base a dei sottostanti progetti energetici e ambientali – ad esempio fotovoltaici, eolici, piuttosto che di piantumazione – portati avanti nei Paesi in via di sviluppo. Crediti che vengono poi acquistati dai Paesi più ricchi per facilitare il raggiungimento dei loro obiettivi climatici. Ebbene, dopo la crisi del mercato che ha portato a dimezzarne il valore (da due miliardi a meno di 800 milioni di dollari), anche a causa di scandali riguardanti i progetti, si è deciso di introdurre nuovi standard internazionali per la creazione e la contrattazione dei crediti di carbonio. E un nuovo organismo delle Nazioni Unite, il “Supervisory Body”, avrà il compito di controllare la corretta applicazione delle nuove regole.