L’Europa insiste sulle case green, l’Italia vuole delle deroghe
Se approvata, la direttiva della Commissione Ue renderà fuorilegge gli immobili con le classi energetiche peggiori, G e F, a partire dal 2030
Le differenze di punti di vista, che talvolta sfociano in aperti contrasti, non sono una novità se si guarda ai decenni di convivenza politica fra l’Italia e i vertici dell’Unione europea, che pure il nostro stesso Paese contribuisce ad esprimere. La novità, semmai, sta nel terreno di confronto: ai “classici” come il debito pubblico piuttosto che l’accoglienza dei migranti o i sussidi all’agricoltura, si aggiungono ora i criteri della colossale transizione energetica che dovrà portare il continente al traguardo delle emissioni zero per la metà del secolo. Al riguardo, ciò che sta accadendo con la recente direttiva della Commissione europea sul rendimento energetico degli edifici è perfettamente esplicativo.
Via libera della Commissione Industria
Prima di entrare nel merito del provvedimento, è opportuno evidenziare che il testo, dopo essere stato emanato dalla Commissione, ha appena ricevuto il via libera della Commissione industria del Parlamento Ue. Fra i voti a favore, però, mancano quelli degli europarlamentari italiani appartenenti ai partiti che esprimono il governo guidato da Giorgia Meloni. Una contrarietà, quella di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, motivata col fatto che la direttiva non farebbe altro che introdurre una sorta di “euro patrimoniale nascosta” ai danni dei contribuenti italiani. Ma si tratta dei primi attriti in un cammino ancora lungo, considerato che la direttiva dovrà ora essere sottoposta al voto dell’Europarlamento, con la sua approvazione che darà poi il via al negoziato tra Parlamento, Commissione Ue e Consiglio europeo per il suo varo definitivo.
Nuova costruzione e ristrutturazione
Ma quali sono i contenuti della direttiva? Cominciamo col dire che contiene due tipi di prescrizioni che, una volta approvate, dovranno essere recepite nelle legislazioni delle nazioni aderenti all’Unione europea. E se la parte relativa agli edifici di nuova costruzione non preoccupa particolarmente il nostro Paese, ben diverso è il discorso riguardante gli interventi da effettuare per la riqualificazione energetica degli immobili esistenti. Il motivo è molto semplice, basti pensare che ben più della metà del patrimonio immobiliare nazionale, il 60,4%, appartiene alle classi energetiche peggiori, G ed F, percentuale che arriva quasi al 75% includendo la classe E, per un corrispettivo di circa 11 milioni di unità abitative.
Le date indicate nella direttiva
E proprio per quanto riguarda gli edifici residenziali esistenti la direttiva Ue prevede il raggiungimento almeno della classe di prestazione energetica E entro il 2030 per poi raggiungere obbligatoriamente la D entro il 2033. Più veloce, invece, il cammino di riqualificazione energetica previsto per gli edifici non residenziali e pubblici, che dovrebbero raggiungere le stesse classi, prima E e poi D, rispettivamente entro il 2027 e il 2030. In relazione agli immobili di nuova costruzione, dovrebbero essere tutti a emissioni zero dal 2028, con l’anticipo al 2026 per i nuovi edifici pubblici. In quest’ottica, per tutti gli immobili di nuova costruzione è prevista la dotazione obbligatoria di impianti solari a partire dal 2028, termine che diventa il 2032 per gli edifici residenziali da riqualificare.
Le deroghe previste nel testo
È quindi facile comprendere l’impatto enorme che avrebbe la direttiva sull’Italia alle prese, come detto, con un patrimonio immobiliare prevalentemente di vecchia costruzione, dove abbondano i centri storici, con prestazioni energetiche scadenti. Da qui le reazioni allarmate giunte da varie sponde politiche, con la richiesta più o meno esplicita di deroghe in considerazione della specificità del nostro Paese. Deroghe che in realtà già figurano nel testo della direttiva, come l’esonero degli edifici di pregio artistico, storici e di culto, delle seconde case e di quelle con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati. Inoltre è prevista un’ulteriore deroga con l’introduzione di un principio di flessibilità, valido almeno fino al 2037, con “tolleranza” fino al 22% dell’edilizia residenziale dei singoli Paesi.