…E alla fine (forse) l’hanno capito tutti
Rete BUL unica a controllo pubblico, co-finanziata da tutti gli operatori e gestione dei verticali ai proprietari di immobili.
Un po’ sorprende l’improvviso accendersi agostano del dibattito sulla rete unica a banda ultra larga. Sono quei misteri imperscrutabili della politica che per un po’ si disinteressa completamente di un tema e poi, improvvisamente, si accorge di quanto esso sia strategicamente fondamentale per lo sviluppo del Paese e di quante fregnacce siano circolate negli ultimi anni al riguardo.
In quest’ottica si pone il giro di giostra repentino dell’attuale Governo che ha stoppato l’accordo tra TIM e Kkr, chiedendo un po’ di tempo per mettere mano ad un provvedimento sulla rete unica BUL che dovrebbe arrivare entro la fine del mese e che si annuncia (ma staremo a vedere) come un netto cambio di rotta rispetto al passato. E per passato intendiamo soprattutto l’idea renziana di affidarsi al duopolio TIM-Open Fiber per dotare il Paese di una rete di telecomunicazioni all’altezza dei tempi, che tuttavia ha manifestato da subito tutti i suoi limiti.
Un cambio di rotta tanto repentino, quanto deciso che ha subito suscitato la reazione preoccupata di Franco Bassanini, presidente di Open Fiber, che vede messa pericolosamente in discussione la strategia della rete unica Wholesale only in modalità Ftth gestita dall’azienda controllata dalla Cassa depositi e prestiti e mantra inossidabile alle critiche di questi ultimi anni.
Stupisce quindi non poco leggere proprio oggi sulle pagine di Corcom l’intervista a Enza Bruno Bossio, Deputata del PD che, come d’incanto, rende palesi cose che si sapevano da tempo, ovvero che in relazione ad Open Fiber – cito testualmente – “con il senno di poi possiamo dire che le cose non hanno funzionato come si sperava”, ovvero che “i ritardi sulla roadmap sono evidenti, addirittura i lavori relativi al terzo bando Infratel non sono nemmeno partiti, e peraltro non siamo di fronte a una rete Ftth”.
…Non siamo di fronte a una rete Ftth… bingo! Verrebbe da dire, finalmente se ne sono accorti. Meglio tardi che mai. L’Onorevole precisa infatti che l’azione di Open Fiber “certamente abbatte le distanze dell’ultimo miglio ma gli operatori sono comunque costretti ad accendere la rete andando a realizzare la porzione rimanente, seppure minima, di infrastruttura. Con aggravio quindi di costi e con possibili ripercussioni sulle bollette dei consumatori”. Aggiungiamo magari che la tratta finale, il famoso verticale, non viene quasi mai realizzato in fibra dagli operatori che preferiscono usare gli obsoleti impianti in rame preesistenti e la frittata è completa, perché in questo modo non avremo mai una vera rete FTTH, ma nella migliore delle ipotesi un Fttc, decisamente meno performante.
Il superamento dello scoglio dovrebbe ora avvenire con una infrastruttura unica realizzata da una società sorta dal coinvestimento tra tutti gli operatori del settore e una consistente presenza dello Stato attraverso la Cassa depositi e prestiti che, presumibilmente, dovrebbe anche esprimere la governance, al fine di evitare turbative di mercato tra chi gestisce la rete e chi la utilizza. Un nuovo modello di Wholesale only, quindi, non affidato ad un operatore terzo bensì a una società a controllo pubblico ma partecipata da tutti gli operatori e per questo in grado di assicurare la neutralità.
Tutto bene quindi, se non fosse che il famoso tema dell’ultimo metro, dell’Ftth, sollevato dall’On. Bossio e ben noto a qualunque tecnico italiano, non si risolverà nemmeno in questo caso, perché non è stata finora in grado di trovarvi soluzione nemmeno TIM con il suo trascorso e le sue conoscenze del mercato.
Come è stato rilevato dalla Rete delle Professioni Tecniche durante il lockdown e i successivi Stati Generali dell’Economia, la rete unica è bene che si fermi alla base dell’edificio, mentre è auspicabile che il sistema di distribuzione interna venga affidato ai proprietari degli edifici stessi e ai loro tecnici di fiducia, stimolati magari da qualche cospicuo bonus fiscale a sostituire quelli esistenti (ottimo al riguardo l’esempio del contributo Arera per il rifacimento delle colonne montanti elettriche).
A questa posizione, è cosa nota, la più strenua oppositrice è sempre stata Open Fiber, testardamente convinta di dover fare tutto da sola al punto da rifiutare sovente persino l’allacciamento degli impianti condominiali in fibra esistenti (i famosi multiservizio). Il fatto che ora quel modello inattuabile sia stato messo in discussione e che si stia andando verso una soluzione più ragionevole pone teoricamente le basi per un superamento di quella pregiudiziale senza senso.
Un Ordine del Giorno alla Camera impegna già il Governo a mettere mano ad un provvedimento che riconosca il diritto dovere dei proprietari di immobili di dotarsi di impianti in fibra ottica (quelli previsti per gli edifici nuovi dall’art. 135 bis del TU dell’Edilizia) e di gestirli. È il tassello che manca al nuovo modello per poter accelerare nella realizzazione di una rete BUL realmente in modalità FTTH. L’auspicio e la speranza è che, dopo aver preso atto di quanto era evidente da oltre cinque anni, non si lascino ancora una volta le cose incomplete.