Fumata nera
“Chi entra Papa esce Cardinale”, sembra incredibilmente aderente a questo vecchio adagio della Curia vaticana quanto avvenuto nelle ultime ore che hanno preceduto l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del DL Semplificazioni, che costituisce il primo atto di Governo teso a creare le condizioni affinché i fondi del Recovery Fund vengano spesi.
Ci eravamo tutti illusi che prevalesse il buon senso e che, come risultava in tutte le bozze che hanno circolato per giorni e come assicuravano i bene informati, venissero finalmente aperte le porte del Superbonus 110% agli interventi di adeguamento degli impianti di telecomunicazione in fibra ottica interni agli edifici, ovvero che venisse approvato quel “Digital Bonus” che era già stato cassato dalla Legge di Bilancio, ma che sembrava essere destinato ad un recupero in extremis.
Niente di tutto ciò, malgrado la ricaduta economica del provvedimento fosse a dir poco marginale a fronte della pioggia di miliardi di euro in arrivo, mentre il suo significato, anche simbolico, fosse invece di grandissima importanza. Approvare un simile provvedimento, infatti, significava affermare un paio di concetti non trascurabili, il primo dei quali è che efficientamento energetico e digitalizzazione sono solo due facce della stessa medaglia, come può testimoniare chiunque si occupi oggi di sistemi BACS (Building Automation Control System); il secondo che impianti realizzati dai proprietari, anziché dagli operatori, non solo sono più efficienti e costano meno, ma possono accelerare in modo significativo l’infrastrutturazione digitale del Paese e l’adozione della banda ultra larga, ferma a dati imbarazzanti rispetto agli altri Paesi Europei. Niente, infatti, come l’aver realizzato un impianto proprietario, è in grado di spingere gli utenti finali ad utilizzarlo appropriatamente.
Già, perché i problemi in Italia nel campo della rete BUL sono più di uno: c’è quello di connettere le aree bianche e grigie, dove lo Stato investe molti quattrini per realizzare impianti che potrebbero costare di meno ed essere molto più efficienti; c’è quello delle connessioni FTTH, dove il dato appare viziato da interpretazioni a dir poco singolari che consentono di definire tali, impianti che si fermano a qualche decina di metri dall’edificio che dovrebbero servire; c’è il tema del rispetto delle norme in materia di infrastrutturazione degli edifici nuovi e ristrutturati, da sei anni ampiamente disattese e che nessuno si sogna di far rispettare; c’è, infine, il tema dei ritardi nell’adozione della BUL anche dove la fibra arriva.
La “rivoluzione digitale” legata all’epidemia da Covid19 ha sicuramente dato una spallata a questo sistema, almeno sul piano della consapevolezza dell’utente finale: con un paio di ragazzi in e-learning e un paio di adulti in smart working tutte le famiglie hanno fatto i conti, non solo con gli spazi insufficienti di case sempre più piccole, ma anche con il loro tasso (spesso elevato) di digital divide. Ma questo è un aiuto, non la soluzione del problema, che potrà intervenire solo attraverso un corposo incentivo all’infrastrutturazione e all’adozione delle connessioni a banda ultra-larga.
Un argomento che si intreccia singolarmente con un’indagine pubblica di Agcom, in atto in questi giorni, per tentare di porre rimedio alla estrema litigiosità tra proprietari di immobili ed operatori in merito all’infrastruttura interna dell’edificio che dimostra, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, che il tema va affrontato in un altro modo.
Due sono gli strumenti di cui si avverte fortemente l’esigenza oggi per far fare un salto di qualità al Paese verso la Gigabit Society: il primo è un incentivo alla realizzazione delle infrastrutture interne agli edifici, realizzate a norma della Guida CEI 306-2, che affermi tra l’altro un’architettura di rete innovativa (ma vecchia come il mondo per tutte le altre commodity), realizzata per ambiti pertinenziali (ovvero che faccia corrispondere ai cambi di proprietà il cambio del gestore del tratto di rete); il secondo è un incentivo al passaggio dagli abbonamenti alle rete ADSL a quelli alla rete BUL.
Se non ci muoveremo in quella direzione in modo convinto, colmare il divario che ci separa dai Paesi più avanzati rischia di rimanere una pia illusione.