I dati del mattone e la riqualificazione degli edifici
C’è una doppia pagina oggi su Affari & Finanza, supplemento economico de La Repubblica, dedicata all’industria del mattone. Eloquente il titolo: «Costruzioni, che fare nelle città delle sindache anti-cemento». Il riferimento, ovvio, è a Virginia Raggi e a Chiara Appendino, recentemente elette prime cittadine di Roma e Torino, dichiaratamente contro ulteriore consumo del suolo. Il programma politico si associa al comune sentire, si fa sempre più strada il concetto di riqualificazione degli edifici.
Il lungo articolo non fa cenno alla tecnologia digitale come volano di innovazione per la riqualificazione, ma la sua lettura offre una serie di dati utili anche per chi si occupa a vario titolo di impiantistica e di building automation. Vediamoli. Nonostante il numero di permessi di costruzione sia passato dai 305 mila del 2005 ai 54 mila del 2014 (fonte Anci, l’associazione dei costruttori), in Italia il consumo del suolo viaggia ad una velocità di 7 mq al secondo (per un totale di suolo “consumato” pari al 7,8%, la media Ue si ferma al 4,6%). Anche la domanda di case langue, si stimano in 120 mila gli immobili invenduti. Eppure, dice Marco Marcatili, analista economica di Nomisma: «ci sono 2 milioni di famiglie che vorrebbero comprar casa e 6 milioni che vorrebbero riqualificare». Del resto, oltre il 70% degli edifici esistenti è stato costruito prima del 1976, anno di emanazione della prima legge sull’efficienza energetica nell’edilizia. Sarà anche per tale motivo che la Legge di Stabilità 2015 punta con decisione sulla riqualificazione del patrimonio abitativo esistente: il regime di sgravi fiscali ha fatto sì che il 36,3% degli investimenti in costruzioni andasse appunto alle riqualificazioni.
Riqualificare? Sì, risponde il presidente dell’Anci, Claudio De Albertis. «I nostri associati lo hanno capito da soli (senza cioè il bisogno degli annunciati divieti di Raggi e di Appendino) e hanno capito da un pezzo che un’epoca è finita. Bisogna riqualificare l’esistente – continua De Albertis – ma anche rendere conveniente l’operazione. Il paradosso è proprio questo: oltre le dichiarazioni recuperare non conviene, le procedure sono più lunghe e gli oneri comunali sono uguali». Le sindache Raggi e Appendino sapranno dare una svolta? E sapranno essere un esempio per gli altri Comuni italiani?