Rete ultralarga pubblica. Che cosa si dice

8 Gennaio 2016 Smart Building Italia


È ancora argomento di commento l’annuncio che Antonello Giacomelli, sottosegretario dello Sviluppo economico, ha fatto a La Repubblica due giorni fa. La presa di posizione del Governo sulla infrastrutturazione del Paese con la rete ultralarga attraverso la formula dell’intervento diretto in modo che la proprietà resti pubblica, ha una portata mediatica importante. Ecco una parzialissima rassegna stampa su una decisione che, al di là del clamore suscitato, può innescare un percorso di reale innovazione per tutti i cittadini e le imprese, dando finalmente all’Italia un profilo di modernità.

Il Corriere delle Telecomunicazioni spiega i motivi della decisione:
«Il modello a “intervento diretto” non esclude le eventuali partnership contrattuali con i privati, ma evita allo Stato di sborsare a fondo perduto il 70% delle risorse. E si abbattono anche i tempi per dare il via ai lavori evitando la scure dell’Europa su aiuti di stato e posizioni dominanti.
Secondo quanto risulta a CorCom, il Comitato Banda Ultralarga (Cobul) ha deciso di “bocciare” il modello a intervento a incentivo… Un intervento statale pari al 70% di fatto rappresenterebbe un “regalo” ai privati, visto che la rete – con il modello di intervento a incentivo – sarebbe di proprietà dell’operatore/i che la realizza con “appena” il 30% delle risorse complessive da investire. Perché lasciare ai privati la proprietà della rete se la maggior parte dei soldi ce li mette lo Stato? Questa l’osservazione che ha portato il Cobul a ritenere non “idoneo” il modello di intervento a incentivo».

Nello specifico, come descrive Key4biz:
«L’intervento diretto sarebbe limitato a una parte del Cluster C (per il quale si stima che gli operatori possano maturare l’interesse a investire in reti con più di 100 Mbps soltanto grazie a un sostegno statale) e al Cluster D (aree tipicamente a fallimento di mercato – 4.300 Comuni dove risiedono circa 9,4 milioni di persone, il 15% della popolazione – per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps… Secondo una recente consultazione condotta da Infratel (la società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico), sulle quasi 95 mila aree in cui è stato suddiviso il Paese, gli operatori ne hanno snobbato 83 mila: senza investimenti pubblici, dunque, circa un terzo delle unità abitative (il 36,3%) collocate nelle aree più marginali del paese risulterebbe sfornito di banda ultralarga da qui al 2018».

Della rete pubblica ne parla, tra gli altri, anche Il Fatto Quotidiano, intitolando l’articolo “Scacco del governo Renzi a Telecom”:
«Come ha spiegato il sottosegretario Antonello Giacomelli, si tratta di un vero e proprio ritorno dello Stato nell’industria delle telecomunicazioni con 4 miliardi di investimenti (Cipe più fondi regionali) stanziati per portare la fibra in 7.300 Comuni… All’annuncio del Cobul dovranno però ora seguire i fatti. Il primo banco di prova arriverà con i bandi per l’assegnazione di 2,2 miliardi fondi pubblici sbloccati ad agosto da Renzi. Secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, il Cobul, composto da presidenza del consiglio, ministero dello Sviluppo economico e Regioni, sta studiando le linee guida da fornire a Infratel, società pubblica che gestirà le gare e diventerà in seguito proprietaria della nuova rete di telecomunicazioni dello Stato».